Laureati Stem, come salire sul razzo dell’innovazione dal primo anno di studi

Laureati Stem, come salire sul razzo dell’innovazione dal primo anno di studi

Stem24

In Italia la dispersione universitaria in STEM deriva da mancanza di opportunità e mentoring, non scarsa preparazione

di Francesco Capponi *

In Italia il 58,6% dei giovani si immatricola a un corso triennale, ma solo la metà (~47%) degli immatricolati si laurea. La dispersione non dipende da scarsa preparazione: mancano strumenti di orientamento, mentoring, opportunità di ricerca e internship strutturate fin dalla triennale che facciano da ponte chiaro verso i settori tecnologici globali che crescono più rapidamente e giustifichino gli sforzi messi nel percorso universitario.

La storia (vera) che spiega il paradosso

Nicolas Di Leo oggi lavora tra Europa e Harvard su farmaci che possano rallentare l’invecchiamento. Finito il liceo nelle Marche, con voti bassi e rinvii, non vedeva per sé traiettorie significative: fa lavori stagionali. Dopo tre anni si iscrive a Biologia per diventare nutrizionista. Non è però “l’università” in astratto a sbloccarlo: si cerca attivamente le opportunità, vince quattro Erasmus, entra in laboratori e reti internazionali. Capisce che quelle ambizioni non sono “per gli altri” e in pochi anni cambia tutto e si dedica alla ricerca con impatto globale.

Come riaccendere l’immaginazione e salire su un razzo

In Italia, per uno studente in STEM motivato, il percorso standard è: triennale + magistrale, qualche anno di lavoro tecnico e poi (forse) commerciale/gestionale. È una traiettoria rispettabile, ma non accende l’immaginazione di chi investe 5-8 anni della propria vita nello studio.

Nei contesti internazionali, l’asticella dell’ambizione viene posta subito dal primo anno di triennale. Ti dicono, nei prossimi 5 anni potresti:

• “Salire su un razzo” (entrare in un’azienda in iper-crescita).

• Inventare una nuova AI foundation model company.

• Contribuire a prevenire infarti con una tecnologia concreta.

• Fondare (non ereditare) un’azienda da $10 milioni di fatturato.

Perché in Italia questo immaginario arriva “dopo”, se arriva? Perché manca l’accesso precoce a role model, sponsor e opportunità globali.

Queste opportunità non si trovano, è necessario andare all’estero?

Nell’Era dell’informazione queste barriere sono molto più basse di quanto ci si aspetta. Che sia sognare di lavorare con bracci robotici, intelligenza artificiale o fusione nucleare si è sempre un “LinkedIn connection away” da un ricercatore o un founder italiano che può aprirci nuove prospettive o evitare anni di tentativi a vuoto. È sempre accettabile scrivere a 10-20 persone su LinkedIn dicendo “Ciao sono uno studente che sta facendo X, e sono molto interessato alla tua azienda, posso offrirti un caffe?”.

In Italia il settore del Venture Capital sta crescendo fortemente e sempre più allineato con standard internazionali, dai CDP Ventures, Vento Ventures, Italian Founders Fund, e con esse tante nuove aziende che a loro volta danno esperienza globale di internship o ricerca rimanendo in Italia. Detto questo l’esperienza all’estero, può ancora essere buona sul curriculum e ampliare ulteriormente le prospettive, ma nella prospettiva dell’innovazione sempre meno necessaria.

Conclusione

Il paradosso italiano non è l’assenza di talento, ma una filiera di abilitazione tardiva a inventarci e salire sul nostro razzo rispetto ai nostri compagni europei. Il Venture Capital domestico resta sottile e intermittente, ma l’accesso alle reti, alle idee e ai problemi globali è de facto “senza frontiere”: conta meno “dove sei” e molto di piu a che circuiti riesci ad agganciarti sin dal primo anno di università in maniera quanto piu democratica possibile senza discriminazione del background dello studente.

* Francesco Capponi è Co-founder & President di Lead The Future

Per saperne di più:
Il sito di Stem24
Il sito di LeadTheFuture

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